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Pubblicato su politicadomani Num 91 - Maggio 2009
La rivolta
Assalto ai manager
Occorre distinguere fra gli CEO delle grandi istituzioni finanziarie internazionali che si sono appropriati di immense ricchezze sulla base di una incontrollata posizione di potere, e i normali manager di normali industrie, costretti dalla crisi a ridurre occupazione e impianti per sopravvivere
di Marco Vitale
Rispondo con questo scritto alle tante persone (lettori e giornalisti) che mi hanno chiesto un commento sugli assalti ai manager che si sono andati intensificando negli ultimi tempi e assumendo caratteri sgradevoli, violenti e confusi. Sarebbe un grave errore raggruppare questi episodi sotto il semplicistico epiteto di "populismo" e cavarsela con una scrollata di spalle. Alla maggior parte di quelli che mi interpellavano ho risposto circolarizzando una fotocopia dei miei scritti del 1998, 2001, 2002 nei quali affermavo:
"Negli ultimi vent'anni si è creato uno squilibrio politico e sociale a favore del top management delle grandi società che ha permesso allo stesso di appropriarsi di corrispettivi che non hanno più alcuna relazione di alcun tipo con le prestazioni fornite, con i risultati raggiunti, con il loro tipo di attività, con l'andamento reale delle aziende. Questi valori non rappresentano più un corrispettivo per dei servizi professionali, ma un'appropriazione basata su una incontrollata posizione di potere. Come i nobili delle antiche aristocrazie, essi si appropriano di quello che reputano di potere e di dover prendere, una volta assicurata ai cittadini una discreta sopravvivenza. L'elemento comune principale è che essi prelevano un surplus che non ha più alcuna relazione con i servizi resi, ma che deriva solo da una posizione di potere occupato. I compensi e le forme partecipative prelevati dal big management del big business sono diventati di natura e proporzione tali da non potere più, in alcun modo, essere ricondotti a un corrispettivo per un qualsiasi lavoro professionale direttivo. Essi sono un prelievo e non più un corrispettivo. E la loro legittimazione è basata su una posizione di potere raggiunta, posizione di potere sottoposta a ben pochi controlli o bilanciamenti, dopo che la proprietà alla quale competeva principalmente tale funzione si è dispersa ed è praticamente sparita". Si trattava, dicevo, di forme moderne di neo-feudalesimo.
Il fatto nuovo è che questa classe di top managers delle grandi istituzioni finanziarie internazionali non solo si è appropriata di surplus giganteschi, ma è fallita come gruppo dirigente. La crisi, infatti, non è dovuta a guerre, terremoti, maremoti, salti tecnologici o altri fattori esogeni ma semplicemente al fatto che questi CEO [Chief Executive Officer n.d.r.] sono falliti come CEO, nonostante il colossale ingiustificato prelievo che la società ha loro, per tanti anni, concesso. Da qui il montante risentimento sociale che è più che giustificato, al di là delle forme inaccettabili che questo risentimento possa talora assumere. Ed è destinato a montare quanto più si continuerà a vedere che i governi, e soprattutto quello americano, continueranno a coprire gli errori ed il fallimento di questa classe di palloni gonfiati; ed a lasciarli tranquilli a godersi il non meritato riposo, ricchissimi del non meritato denaro. Questo discorso si riferisce fondamentalmente ai CEO delle grandi istituzioni finanziarie internazionali e pochi altri. Resta aperta la questione di come ciò possa essere avvenuto. È una vera e propria ideologia che si è pian piano imposta per sostenere questi corposi interessi e che ha alimentato dei veri e propri imbrogli intellettuali fra i quali i principali sono stati: le grandi dimensioni sono sempre e comunque un bene; la concentrazione della ricchezza in mano a gruppi sempre più ristretti è, alla fine, positiva per lo sviluppo economico generale; compito dei manager non è porsi al servizio delle imprese ma dedicarsi ad aumentare il valore degli azionisti. È sulla base di questa ideologia folle, mai criticata dagli studiosi se non in pochissimi casi, divulgata dalle grandi banche di investimento e dalle grandi società di consulenza, supinamente accettate dai sindacati e da noi fatta propria dalla sinistra con l'entusiasmo dei neofiti, che si è consumata l'appropriazione dell'economia e, in parte della democrazia da parte di questa classe di neofeudatari, ora rovinosamente crollata.
Essi vanno tenuti nettamente distinti da altri casi di sequestri e aggressioni che hanno colpito normali manager di normali industrie, costretti dalla crisi a ridurre occupazione e impianti per sopravvivere. La rabbia sociale quando monta non ama fare distinzioni. Ma noi, nel tentativo di contribuire a discorsi più costruttivi, queste distinzioni dobbiamo farle. Questi manager normali, che cercano di affrontare la crisi attenuandone gli effetti sulle loro aziende, sono lavoratori che cercano di fare il loro dovere, anche se talora per salvare l'azienda devono tagliare posti di lavoro per adeguarli alle nuove condizioni di mercato. E qui subentra la normale dialettica con il sindacato e la corretta applicazione delle leggi di tutela dei lavoratori. Ma quando la crisi assume le abnormi dimensioni della presente crisi, la normale dialettica sindacale e la normale tutela possono non essere più sufficienti. Gli assalti ai manager, ai di là della loro inaccettabilità, esprimono confusamente il messaggio che è necessario trovare soluzioni nuove e più ampie che permettano alle aziende di ristrutturarsi e di riciclarsi ma che, al contempo, assicurino ai lavoratori colpiti continuità di reddito e possibilità di riciclasi a loro volta. Le soluzioni possibili per fronteggiare questa grande emergenza non mancano. Studiosi della materia seri come Pietro Ichino, Tito Boeri e Piero Gariboldi le hanno già delineate. Il 25 marzo trenta senatori di entrambi gli schieramenti hanno presentato un disegno di legge nella stessa direzione. Non è possibile entrare qui nei dettagli di queste soluzioni. Ma è importante sapere che esse esistono e aggiungere la nostra modesta voce a quella di chi chiede questi interventi. Altrimenti gli attacchi ai manager e la rabbia sociale continueranno a montare. Che la crisi si possa affrontare solo continuando a pompare denaro nelle grandi banche fallite, è qualcosa che solo gli gnomi di Wall Street, trasferiti sotto le ali della chioccia Obama, possono continuare a credere.
(fonte: www.marcovitale.it, scritto per Club 3 - Milano, 2 aprile 2009)
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